DISINFESTAZIONE “OBBLIGATORIA” PER GLI ATA, DIDATTICA A DISTANZA ED APERTURA DEI CONVITTI (CON ILLEGITTIME IMPOSIZIONI DI SERVIZIO): LA POSIZIONE UFFICIALE DELL’UNICOBAS. NESSUNA OBBLIGATORIETÀ
INFORMATIVA SUL DECRETO DI SOSPENSIONE DELLE ATTIVITA’ DIDATTICHE
Con la collaborazione delle OOSS pronta-firma, il Governo ed il Ministro Azzolina hanno deciso di mettere a repentaglio la salute del personale ata, obbligandolo al servizio quando vengono chiusi persino i cinema e le partite di calcio si svolgono a porte chiuse. Parimenti hanno deciso di mantenere aperti gli istituti con maggiore promiscuità: Convitti ed Educandati, strutture residenziali. A questo punto, qualsiasi ata o educatore che dovesse venire contagiato a seguito di tali scelte sconsiderate avrà diritto ad intentare causa allo stato per danno biologico.
Senza che nessun sindacato “maggiormente rappresentativo” (assai) protestasse, al personale Ata delle regioni coinvolte in maniera massiva dall’epidemia del Corona virus è stato ordinato di restare in servizio nelle scuole chiuse e di “sanificare” gli ambienti (peraltro senza strumenti, mascherine etc.). Questo è un compito che spetta alla Sanità pubblica ed agli Enti Locali, e ciò, sia detto per inciso, vale sia per il bene generale (tramite strumenti e prassi adeguate), sia per il rispetto che va portato al personale non docente. Simili ordini di servizio sono da considerarsi illegittimi.
Senza che nessun sindacato “maggiormente rappresentativo” (assai) protestasse, Convitti ed Educandati sono rimasti aperti sin dall’inizio dell’epidemia, sia in Veneto che in Lombardia, ed agli educatori sono stati imposte mansioni sanitarie (come la rilevazione delle condizioni di salute dei convittori) e di portineria-guardiania che non competono loro. Simili ordini di servizio sono da considerarsi illegittimi.
Infine assistiamo ad una campagna senza precedenti volta a far passare l’obbligatorietà della presenza a scuola e della didattica a distanza per gli insegnanti. Ribadiamo come gli obblighi contrattuali relativi alla funzione docente non contemplino l’obbligo di presenza a scuola quando gli studenti sono assenti (tranne le riunioni programmate dai Collegi dei Docenti), né la didattica a distanza. Ciò che non è obbligo di servizio si qualifica come lavoro aggiuntivo, sia per gli insegnanti che per gli ata, ivi compresa l’eventuale retribuzione aggiuntiva che, se richiesto, va liquidata. Senza considerare il sequel di obiezioni pedagogiche che una siffatta impostazione (falsamente “modernista”) comporta:
1) Solo chi non conosce nulla di metodologia e didattica può parificare la presenza a distanza con l’efficacia dell’insegnamento diretto e della comunità educante, né si può negare che l’apprendimento è fenomeno collettivo garantito soprattutto dall’interazione diretta e dal gruppo-classe. Ciò vale anche e soprattutto per la didattica laboratoriale, della quale la Scuola Elementare italiana era maestra prima delle controriforme degli ultimi 30 anni. Nondimeno, parlare di didattica a distanza per le Scuole dell’Infanzia e Primarie è quantomeno ridicolo. Chi dirige il Ministero, come quanti si vantano del titolo di “docente”, dovrebbero studiarsi almeno la storia del Movimento di Cooperazione Educativa dei tempi di Mario Lodi. Oltretutto i seguaci dei miracolistici effetti dell’insegnamento a distanza sono spesso gli stessi che criticano da anni la lezione frontale, senza neppure comprendere la contraddizione patente: l’insegnamento a distanza è spesso mimesi e mimica della lezione frontale, né i supporti informatici interattivi possono ovviare a questo somigliando, più che alla necessaria creatività didattica, ai famosi e tanto contestati “compiti a casa” (che molte scuole oggi vorrebbero imporre, nella vacatio dell’interazione scolastica, tramite il famoso registro elettronico). I principali fautori dell’insegnamento a distanza (Treellle e Confindustria) sono gli stessi che vorrebbero assoggettare la Scuola pubblica ai loro appetiti privatistici, alle loro private agenzie “educative”, alla dottrina della chiamata diretta, alla cattiva sQuola renziana: istituti dei quali l’insipienza populista dei 5 Stelle predicava l’abrogazione in campagna elettorale ma che oggi invece fiancheggia. L’esempio più calzante di educazione a distanza è rappresentato dalla scuola australiana, che contempla l’utilizzo di un comune apparecchio televisivo o di computers, per il cui tramite raggiungere gli alunni dei centri sparsi sul territorio, con pochi insegnanti per migliaia di fruitori passivi. Sinceramente non ci pare “il massimo”, mentre è del tutto evidente che simili prassi sono tipiche del liberismo più vieto (lo stesso che ha ridotto i servizi ferroviari in Italia, ha chiuso i presidi sanitari ed ha cercato di eliminare negli anni scorsi persino le scuole di montagna) e rappresentano precedenti assai preoccupanti.
2) Il mito della digitalizzazione deregolamentata ed approssimativa ha già distrutto, fra le altre, la “scuola” finlandese, decaduta persino nelle classifiche Ue a quiz dal 2015. Molto di recente, contestando la trasmissione “Presa Diretta”, abbiamo ricordato come diverse recenti analisi sviluppate da matematici e studiosi di problemi dell’insegnamento finlandesi (fra i quali ricordiamo articoli pubblicati da G. Malaty, E. Pehkonen, O. Martio e altri) mettono in luce, come intitola un appello firmato nel 2006 da Kari Astala, professore all’Università di Helsinki, e da più di altri duecento professori, quanto le classifiche Pisa dicano soltanto una verità parziale circa le abilità matematiche dei bambini finlandesi, mentre, di fatto, proprio dalla Finlandia ci dicono (testualmente) che “le conoscenze matematiche dei nuovi studenti hanno subito un declino drammatico”.
Va ribadito con forza che i problemi della scuola italiana, che vede ancora l’80% degli istituti non a norma su igiene e sicurezza, non si potranno mai risolvere proseguendo ed esacerbando la logica emergenziale.
Ribadito quanto detto sinora, a proposito di emergenza, possiamo comprendere che singoli o più insegnanti, avendo a cuore il futuro dei propri studenti, facciano la legittima scelta VOLONTARIA di recarsi a scuola ed interagire con alunni e famiglie. Anche nel nostro sindacato la Federazione di Lodi apprezza questo impegno. Non è certo una contraddizione insanabile, in un sindacato di base e libertario.
Ma altrettanto legittima è la posizione nazionale dell’Unicobas, col ribadire che tali onorevoli scelte (anche per avere il valore che meritano), devono essere volute e ricercate dai singoli, mentre mai possono venire imposte o venire interpretate come un avvallo ad imposizioni d’autorità, che sarebbero assolutamente illegittime, da parte del Ministero o di singoli dirigenti scolastici.
Infine, ci sia consentito di ricordare che non si può certo imputare all’Unicobas il pericoloso precedente contrattuale (peraltro comunque ininfluente sulla questione dell’insegnamento a distanza,) controfirmato da Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, relativamente alla cosiddetta “reperibilità telematica” che già di per sé apre un varco rispetto all’orario ed alle mansioni.
Stefano d’Errico
(Segretario Nazionale Unicobas Scuola & Università)
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