Il ministro Bianchi che, dopo lo scioglimento delle Camere e stabilita la data delle prossime elezioni legislative, avrebbe dovuto solo svolgere il “disbrigo degli affari correnti”, nei primi giorni di questo torrido agosto romano ha voluto, invece, lasciare un proprio segno indelebile sull’impianto della scuola dei prossimi anni.
Non solo ha aggiunto ai già affollati organigrammi delle scuole un’altra figura di cui non si sentiva affatto bisogno, quella del “mobility manager” (che si occuperà di promuovere la mobilità sostenibile negli istituti scolastici), non solo ha accelerato sull’istituzione e la nomina del presidente e del direttore dell’Alta Scuola di Formazione, un nuovo organismo nella pletora già soffocante di quelli esistenti, ma, cosa più grave, ha assestato un altro colpo basso alla scuola pubblica con l’inserimento nel Capo VI, art. 38 del DECRETO-LEGGE 9 agosto 2022, n. 115 (Aiuti bis), della “formazione incentivata” (obbligatoria per i neo immessi e facoltativa per chi è già di ruolo) e soprattutto della tanto contestata figura del “docente esperto”.
Un super docente che – secondo i piani del ministro e dei suoi collaboratori di viale Trastevere – dopo aver frequentato con successo tre corsi triennali online della Scuola di Alta Formazione, consecutivi e non sovrapponibili tra loro, sarà inserito in una graduatoria per ottenere l’agognata qualifica e di conseguenza accedere ad un incremento stipendiale stabile di 5.650.000 euro lordi annui, ossia circa 400 euro lordi in più al mese rispetto ai colleghi non “esperti”.
Molti sono gli aspetti di questa proposta che non convincono: a partire dalla lunghezza del percorso, che scoraggerà in primis i docenti con maggiore anzianità di servizio, cioè quelli veramente più esperti, poiché potrebbe terminare in corrispondenza della pensione, ma anche i più giovani che in molto meno tempo potrebbero prepararsi al concorso per dirigente scolastico o dirigente tecnico, con vantaggi economici molto più consistenti. A livello formale l’istituzione di tale figura è prevista a partire dall’a.s. 2023/2024, ma gli effetti economici decorreranno dall’a.s. 2032/2033 e prevedere oggi un compenso preciso, visti i tempi incerti che viviamo, risulta quanto meno rischioso. L’esiguità delle risorse economiche ridotte destinate dal Ministero, per cui solo 8000 insegnanti (sugli 800.000 docenti italiani) potranno, almeno inizialmente, fruire della qualifica di esperto e del compenso relativo. Ed infine c’è da chiedersi (visto che nella norma non si fa alcun riferimento a questo) cosa faranno di diverso i docenti esperti rispetto agli altri per meritare un incremento stipendiale simile? Impegni gestionali specifici? Compiti di raccordo tra il dirigente scolastico e i docenti “normali”? Comporranno il cosiddetto middle management, tanto auspicato dal1’Associazione Presidi e dagli uffici scuola delle associazioni padronali, che sancirebbe la definitiva aziendalizzazione dell’istituzione scuola pubblica?
Ma soprattutto, nella malaugurata ipotesi il decreto venisse convertito in legge a settembre, senza le necessarie modifiche, il “governo dei migliori” – facendo proprie le richieste provenienti dall’Unione Europea – di fatto, modificherebbe lo stato giuridico dei docenti, riuscendo a realizzare la vecchia e mai abbandonata idea di creare forme di differenziazione di carriera e gerarchizzazione tra i docenti, basata su un presunto merito e su supposte forme di valutazione, che ha caratterizzato l’attività del Miur da quando è andata a regime l’autonomia scolastica (settembre 2000). E così quello che non sono riusciti a portare a compimento pienamente Berlinguer con il suo “concorsone” (2000), il ddl. 953 (Aprea 2008) ed il comitato di valutazione della “Buona Scuola” di Renzi (2015), potrebbe essere realizzato dal ministro uscente Patrizio Bianchi, promotore di una “formazione di stato”, spesso di bassissimo livello culturale ma al contempo ad altissimo tasso di astrazione, burocratizzazione e conformismo.
Manca ormai meno di un mese all’avvio del nuovo anno scolastico e gli annosi problemi che attanagliano la scuola pubblica sono sempre sul tavolo, irrisolti: carenza di organici, ritardi nelle nomine, classi pollaio, disabili senza sostegno, burocrazia ministeriale sempre più invasiva, oltre ad unadeprimente condizione salariale dei docenti italiani che li colloca all’ultimo posto in Europa, ulteriormente aggravata da un rinnovo contrattuale che tarda ormai da quasi 4 anni, ma il governo pensa a reperire nuove risorse per finanziare la figura del “docente esperto”, nonostante la categoria lo abbia già bocciato con due scioperi generali lo scorso maggio (il primo dei sindacati di base e conflittuali, il secondo delle organizzazioni maggiormente rappresentative).
Di fronte a questa situazione riteniamo assolutamente non sufficienti le petizioni online che si stanno raccogliendo da più parti; per modificare lo stato delle cose è necessaria la mobilitazione vera, di piazza, concreta, non virtuale. È necessario l’impegno costante ed in prima persona per conquistare un rinnovo contrattuale con aumenti significativi uguali per tutti che permettano di recuperare il 20% del potere d’acquisto perso negli ultimi decenni e di difendere i salari reali dalla ripresa dell’inflazione e dal carovita drammaticamente peggiorati dalle guerre in corso. È necessario rifiutare la scuola della competizione e della segmentazione gerarchica di stampo aziendalistico, per continuare a costruire la scuola della collaborazione, della condivisione, luogo di conquista di autonomia culturale, di progressiva liberazione dal senso comune e dalla subalternità ideologica, strumento di emancipazione sociale.
Per l’Esecutivo nazionale dell’Unicobas
Stefano Lonzar