CHI E’ E COSA VUOLE DALL’ISTRUZIONE QUESTO PATRIZIO BIANCHI
Patrizio Bianchi, all’Istruzione, viene passato come “tecnico”, ma è organico al Pd: Rettore dell’Università di Ferrara fino al 2010, 69 anni, di area prodiana (formatosi con Prodi), per due mandati durati 10 anni ha ricoperto il ruolo politico di guida regionale emiliano-romagnola per Scuola, Università e Lavoro (una sorta di professore-assessore), gestendo anche la ripartenza delle attività didattiche dopo il terremoto del 2012, coordinando il Patto per il lavoro per lo sviluppo della Regione e dirigendo le attività per la progettazione e l’attivazione del Tecnopolo di Bologna, sede del centro dell’Agenzia europea per le previsioni meteo e del Centro europeo di supercalcolo scientifico.
Bianchi si è laureato in Scienze Politiche con lode all’Università di Bologna ed è professore ordinario di Economia applicata e titolare della Cattedra Unesco in Educazione, crescita ed eguaglianza presso l’Università di Ferrara, dove è stato Rettore fino al 2010, avendovi peraltro fondato nel 1998 la Facoltà di Economia. Ha seguito un percorso di specializzazione alla London School of Economics and Political Sciences in Economia e politica industriale.
Una lunga carriera da tecnocrate alle spalle: nel 1997 è stato nominato nel consiglio di amministrazione dell’Iri; dall’inizio del 1999 all’inizio del 2000 è stato presidente di Sviluppo Italia (poi Invitalia), l’agenzia per lo sviluppo nazionale, quindi nel 2008 è stato nel nucleo di valutazione del Ministero dei Trasporti e per conto del governo italiano, nel 2012 ha aperto una scuola di istruzione tecnica e professionale a Fajhum in Egitto. Dal gennaio 2020 è direttore scientifico dell’Ifab – Fondazione Internazionale Big Data e Intelligenza Artificiale per lo Sviluppo Umano. Nel 2020 ha anche guidato la Task Force ministeriale per dettare tempi e modi della ripartenza delle scuole nell’ambito della pandemia, anche se il lavoro fatto da Bianchi e dal suo gruppo non è mai stato reso del tutto noto.
Bianchi ha pubblicato qualche saggio con la casa editrice il Mulino, tra i quali il piccolo ma ambizioso Nello Specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia, uscito recentemente, dove scrive: “Il nuovo secolo della connessione continua ha bisogno di cittadini portatori, oltre che di contenuti, di creatività, lavoro di squadra, capacità di astrazione e di sperimentazione, senso di orientamento per poter navigare in mari aperti. La scuola deve rispondere a queste esigenze e muoversi, insieme al Paese, nel senso di marcia di uno sviluppo inclusivo e sostenibile.” Oltre le belle parole, vale a dire che l’esaltazione della lotta competenze vs conoscenze, delle competenze informatiche e della “didattica digitale” sono in testa al suo programma. Nel giorno del giuramento del nuovo governo grigio-verde, anche il blog “Money.it” lo saluta con entusiasmo: “Uno dei più quotati economisti industriali italiani guiderà il ministero dell’Istruzione nel governo Draghi”. Sì, certo, ma che “c’azzecca” con la guida di un settore così complesso come la scuola?
Per lui l’istruzione pubblica deve formare “anche lavorativamente: una scuola che non sia fine a se stessa, ma che tenga conto delle nuove esigenze dettate dal mercato del lavoro, specialmente in questa fase in cui ci sarà una nuova spinta verso l’innovazione grazie alle risorse in arrivo con il Recovery Fund”. Per questo, anche in passato, s’è battuto in Emilia per dare più spazio possibile all’alternanza scuola-lavoro e s’è basato nei suoi testi sui risultati grezzi delle molto controverse prove Invalsi sostenute da Confindustria e Fondazione Agnelli. Anche lui, appena arrivato, ha dichiarato di voler fare “una scuola nuova”, anzi di voler aprire “una vera fase costituente per la scuola”.
Ma quali sono le vere competenze di Bianchi? Che ne sa del campo pedagogico? E di quello legislativo, istituzionale ed amministrativo? Intanto dobbiamo sommessamente segnalare che non sa neanche da quando è andata a regime l’autonomia scolastica (settembre 2000): “Il nostro Comitato è un organo di consulenza del ministro, per far sì che ogni scuola, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, possa utilizzare al meglio quello che dal 1997 è il principio base della scuola italiana: l’autonomia scolastica”. In quest’intervista rilasciata il 13 giugno 2020 a “Busines Insider”, foglio neoliberista, rivendicando il suo ottimo lavoro al Ministero nel dirigere il Comitato sul contrasto alla pandemia (“Abbiamo ricevuto un mandato, che scade il 31 luglio, per proiettare la scuola del futuro al di là dell’emergenza” – Sic!) ha scambiato la data della legge sull’autonomia universitaria (1997) con quella relativa alla scuola. Non “sbaglia” invece quando si tratta di spezzare lance a favore delle scuole paritarie: “Mi viene in mente la possibilità di scelta tra scuole paritarie scuole statali, garantita dalle nostre norme. A proposito della polarizzazione, sono convinto che la scuola pubblica così come la scuola paritaria possa garantire un grandissimo servizio scolastico.” Né ha dubbi sulla Dad: “Di fronte al Covid la scuola ha fatto un salto nella digitalizzazione. Un salto forse non preparato, ma pari ai passaggi fondamentali precedenti, avvenuti intorno al 2000 e al 2011 con i passaggi dal 2G al 3G e poi al 4G”. Vede la scuola come “formazione professionale, competenze e eccellenze”. Ovvio: di fatto può vantare unicamente di conoscere la formazione professionale emiliano-romagnola e le scuole materne comunali, ché il resto, dalla Primaria ai Licei (ed ai Tecnici), per lui è ancora un mistero. Il 9 giugno 2020, nel corso di un’audizione presso la Commissione cultura della Camera, Bianchi utilizzò il pretesto dell’esposizione del rapporto della Task Force ministeriale su scuola e pandemia, peraltro assai poco dettagliato, per “scendere in campo”, candidandosi in concorrenza col ministro Azzolina. Con l’adusa capacità retorico-comunicativa infiocchettata nella neo-lingua dei manager aziendalisti, “economisti” dell’istruzione, Bianchi, riprese ed esaltò i codici di quella cosiddetta «autonomia» formalizzata dalla riforma Berlinguer-Zecchino (2000) e, se possibile, peggiorata dalla «Buona scuola» di Renzi (2015), controriforme emblematiche della stagione del pensiero unico, mai rinnegata degli eredi del partito comunista divenuti dall’epoca neofiti sanfedisti della storpiatura pseudo-pedagogica di chiaro stampo neoliberista. L’ordine del mainstream è oggi quello di declinare tale “autonomia” secondo i dettami più “politicamente corretti” di uno “sviluppo inclusivo e sostenibile”, ma pur sempre nell’ottica di una sussidiarietà ideologica che millanta di poter coniugare l’impossibile. Ovvero i diktat mercatisti ed egoistici delle imprese con la farsa di una società economico-economica messa in vetrina con la generica etichetta di “comunità”.
Apparentemente chiusa la fase dell’austerità nella Ue, caduto Renzi, la “sinistra” neoliberista, col suo codazzo pentacamaleontico e leumicino, oggi punta tutto sul governo Draghi, coperta utile ad inaugurare una nuova fase ideologica che cerca di mascherare l’economia di mercato deregolamentata e con sempre meno diritti sindacali e del lavoro per “economia sociale”: neocorporativismo dei boiardi di stato e di quel che resta del mondo imprenditoriale nazionale. Ecco che l’istruzione, sempre strategica, soprattutto nei periodi di crisi, deve addomesticare questo passaggio, completando la svolta epocale dell’ultimo trentennio preparando il “capitale umano” al massimo della flessibilità e dell’assenza di pensiero critico con il minimalismo e l’autoritarismo, neanche troppo mascherato, in sede scolastica. Il sottosviluppo, prono ai mercati ed ai potentati (in primis esteri e multinazionali), deve sembrare “sviluppo sostenibile”, idea di “inclusione” e crescita della “comunità”. Perciò tutto deve essere “merito” (coniugato al ribasso, quale fucina di “yes men”), mentre l’imposizione dei ruoli deve passare per “inclusione”. Una sorta di pseudo “umanesimo” neutrale e di senso comune che, “causa crisi”, deve ignorare ed assimilare i meccanismi del profitto e della subordinazione, piegato ai patti concertativi stretti con la casta dei sindacati di stato, con Confindustria che, come il Jobs Act diventeranno leggi sempre più stringenti ed antidemocratiche che apriranno definitivamente la strada a Salvini. La prosecuzione della decostituzionalizzazione dell’istituzione-scuola., la ripresa del bombardamento sull’autonomia differenziata, anche se è risultato chiarissimo a tutti in questi mesi quanto i poteri regionali si siano dimostrati inefficienti e nemici del supremo diritto alla salute ed all’istruzione. “Territorio educante”, come sinonimo di scuola-azienda nelle mani delle imprese, macchina di consenso e selezione per l’introiezione di competenze meramente esecutive, scevra di terzietà e saperi. Costoro scambiano e barattano, nei due sensi, i saperi per lo “specialismo”, odiano i cultori della materia, sono contro lo sviluppo delle conoscenze disciplinari, le lasciano volentieri sostituire con la cosiddetta “socializzazione”, con un luddismo manovrato, povero, immaturo. Intendono smembrare il luogo primo dell’apprendimento: la classe e la scuola in presenza, demolire lo spazio “fisico” destinato alle materie, gli orari, la figura dell’insegnante quale punto di riferimento (reso schiavo sottopagato dei giganti del web). Come ci ricorda il 13 febbraio Roberto Ciccarelli, desueto intelligente collaboratore de “il manifesto”, parafrasando Bianchi proprio mentre s’accinge a mettere piede a Viale Trastevere:
Un obiettivo evocato da molte teorie come il “Cooperative learning”, la “Flipped Classroom'”(Classe rovesciata) o la “Jigsaw” (Classe puzzle) alle quali faceva riferimento l’ex ministra Azzolina quando ha imposto uno dei principali esiti del suo mandato: i banchi con le rotelle acquistati nel pieno della pandemia [..] il consueto pegno pagato da tutti i riformatori della scuola dell’ultimo quarto di secolo alla pedagogia neoliberale delle competenze contenuta nei sillabi dell’Ocse. [..] Bianchi parla di “collaborative problem solving skills”, ovvero “le competenze per risolvere i problemi insieme”. Formule di larghissimo uso tra i teorici della governance scolastica che segnano il passaggio dalla scuola intesa come elaborazione dei saperi e della conoscenza alla scuola come trasmissione della capacità di risolvere i problemi. Quest’ultima è l’attitudine richiesta al lavoratore “flessibile” che si adatta “creativamente” alle richieste temporanee dei cicli produttivi e all’andamento erratico del mercato del lavoro che richiede abilità e competenze “morbide” e “trasversali” e mai dense e critiche. Questo è l’orizzonte in cui si muove lo stesso “Recovery Fund” dove prevale una visione professionalizzante della scuola.
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